Il re di Girgenti by Andrea Camilleri

Il re di Girgenti by Andrea Camilleri

Author:Andrea Camilleri [Camilleri, Andrea]
Format: epub
Publisher: Sellerio
Published: 2001-04-14T22:00:00+00:00


Dormiva da un due ore quanno l'arrisbigliò un rumore che non sentiva da tre anni. S'avvicinò alla finestra scosso da un brivido di friddo. Pioveva a redini stise, chioviva a tinchitè.

Capitolo settimo.

Mallìtta sia sempri donna Filotea Tatafiore marchisa di Valle Zuccata! Mallìtta issa e tutta la sò fitente razza! Questa fìmmina ambiziosa, pittata nella faccia che pareva una pupazza, con le natiche che ci facevano rollio e beccheggio, dal momento in cui si maritò con don Francisco Vanasco y Sepùlveda, marchese de la Sierra Perdida e primo consigliere del Viceré, parse che perse la testa: al mondo nenti c'era di prizioso, abito, mobile, gioiello, che agli occhi sò abbastasse di priziosità, non c'era cosa valorosa che quel poviro cornuto di marito (mezza Palermo màscola ci aveva inzuppato il pane con donna Filotea) portasse in casa che la mogliere ci dava la soddisfazioni di un minimo gesto di gradimento, nenti, sempre la bocca storceva schifata, come se avesse avuto sotto il naso, rispetto parlanno, una cacata puzzolentissima.

Un giorno donna Filotea amminchiò malamente che voleva accattato un tappito arabo, grande squasi quanto un feudo, che aveva viduto nel salone di donna Libertina Carcavento, duchessa di Calamonaci. Don Francisco scatenò alla cerca i servi per tutta Palermo nobile, ma ammàtula la sera s'arricampava con tappita sempre diversi; la marchisa, appena li taliava srotolati, faceva la bocca storta, non era quello, no e poi no, e correva a inserrarsi nel suo appartamento. Alla porta del quale aveva voglia di tuppiare la notti quanno gli veniva il firticchio di secolei giacersi (tra le pirsòne di nobile ceto si dice accussì per fottere, ficcare): per don Francisco la porta restava inesorabilmente chiusa e di conseguenzia restava macari chiusa la cosiddetta di donna Filotea. Non solo, ma ogni matina che Dio mandava in terra, la marchisa trovava una scascione per armare catùnio, faceva voci, rompeva vasi, strazzava tende.

Il marchisi era dispirato, non sapeva più dove andare a sbattere le corna, solamente un miracolo poteva tirarlo a salvamento. Datosi che la chiesa di San Francesco aveva bisogno di grandi riparazioni, fece sullenni promissa di accollarsi tutte le spese se il santo gli faceva la grazia. La notti istessa s'assognò che, doppo un tirribile combattimento marino, veniva pigliato prigioniero dai turchi e venduto come schiavo. Senonché a un certo momento compariva un arabo a cavallo, lo faceva montare in sella e, arrivati nel deserto, gli diceva:

«Allah è grande e misericordioso! Vattene! Sei libero!».

S'arrisbigliò tutto sudato per lo spavento e diede la colpa di quel sogno alle sarde a beccafico che ne aveva mangiato una chilata e passa. Ma la matina, mentri si lavava, gli tornò a mente il sogno e contemporaneamente s'arricordò che un mese avanti era stato catturato e incarzarato il pirata Ibn-abd-Mohammed, figlio di un figlio di un figlio di una figlia di Khair ad-Dìn, canosciuto meglio come Ariadeno Barbarossa, pirata celeberrimo e il meglio dei capitani della marina ottomana. San Francesco gli aveva insegnato la strata. Non perse tempo e andò a parlare col pirata a quattrocchi.



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